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Il Guaritore

di Antonio Bellomi

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latine


Quando Ungor entrò a cavallo nel misero villaggio di capanne percepì immediatamente l'odore della morte. Quindi il suo sesto senso ancora una volta non l'aveva ingannato, quando aveva fatto fermare la sua piccola carovana a un miglio di distanza per seguire la labile traccia che aveva percepito.

Non gli fu difficile individuare la capanna, perché l'odore della morte in arrivo si faceva sempre più forte a ogni passo. Il villaggio era composto di sette o otto capanne di paglia e fango, davanti alla quale vecchi e bambini sedevano apatici con lo sguardo spento. Non si vedevano adulti, gli uomini erano probabilmente a caccia e le donne a raccogliere bacche e radici.

Sulla soglia da cui spirava l'aria di morte non c'era però nessuno e quando Ungor sollevò la pelle non conciata che proteggeva l'ingresso della capanna vide all'interno solo un uomo e una donna curvi su un letto di frasche su cui giaceva una bambina, di non più di sette anni.

La piccola aveva un colore grigiastro che preannunciava una morte imminente. Il suo petto ossuto si sollevava a stento e ogni respiro le costava una fatica immensa. Uno sforzo tremendo per il piccolo cuore che cercava di combattere una disperata battaglia per la sopravvivenza.

Ungor sospirò. Quanti bambini aveva visto in quelle condizioni? Ne aveva perso ormai il conto. Quella che un tempo era stata una fertile pianura ricca di messi ora era diventata un'immensa distesa di morti viventi.

E adesso anche quella bambina, come tanti altri prima di lei, stava cedendo al veleno delle malefiche nubi corrosive che inquinavano il cielo. Aveva gli occhi chiusi, ma quando Ungor, il guaritore itinerante, le toccò il braccio le palpebre ebbero un trasalimento, come se una scossa elettrica l'avesse percorsa.

I genitori della piccola lo guardarono con occhi senza più lacrime e non dissero una sola parola. La speranza li aveva ormai abbandonati da tempo e quell'uomo sconosciuto che era entrato all'improvviso nella loro capanna era per loro solo una vana apparizione senza significato.

La bambina non diede alcun segno percepibile che qualcosa fosse cambiato in lei, eppure Ungor percepì che la situazione era completamente mutata.

“Domani starà bene,” annunciò Ungor, raddrizzandosi da sopra il giaciglio. Il suo sesto senso, quel suo sesto senso magnifico e terribile che un giorno, all'improvviso, aveva saputo di avere gli aveva fatto percepire un affievolirsi dell'aura di morte che regnava nella capanna e un nuovo effluvio che sapeva di vita, di lotta per la vita e di guarigione.

Sì, la bambina sarebbe guarita e sopravvissuta. Lo sapeva con certezza, ma quando guardò i genitori della bambina negli occhi vide che non gli credevano e sospirò. Era sempre così. Nessuno gli credeva. Mai. Fino al giorno dopo. Quando lui era ormai lontano, verso un altro villaggio, verso un altro malato. Verso un'altra guarigione.

Era inutile rimanere nella capanna. Tutto quello che andava fatto l'aveva fatto. Ora doveva proseguire. C'erano altri che avevano bisogno di lui, del suo tocco miracoloso.

Uscì all'aperto sotto un cielo rossastro, eredità dell'ultima guerra atomica. Le velenose nubi si inseguivano in cielo sospinte da un vento che non era in grado di disperderne il carico di distruzione e di morte.

Si avvicinò al suo cavallo che aveva lasciato legato a un palo e stava per infilare un piede nella staffa quando si sentì tirare per una manica.

“Signore...” lo chiamò una vocina.

Era un bimbetto di sei anni, ben saldo sulle gambette e dall'occhio vivace. I loro sguardi si incontrarono.

E Ungor provò un brivido d'eccitazione.

“Mio Dio, “ mormorò. “Un altro ancora.”

Non era possibile sbagliarsi. Il piccolo aveva il dono. Quel dono grandioso e terribile che permetteva di dispensare la vita e la morte. Un dono che in quel piccolo essere era ancora allo stato embrionale e che doveva venire coltivato, ma che un giorno, non lontano, avrebbe fatto di lui un altro guaritore.

“Posso venire con te...” chiese il bimbo. “Voglio toccare anch'io la gente.”

Ancora una volta, Ungor si chiese come facessero i bimbi che avevano il dono a chiedere la sua tutela. Erano sempre bambini ancora piccoli, eppure capivano istintivamente che lui era un guaritore e volevano diventare anch'essi guaritori, anche se non sapevano neppure che cos'era un guaritore. Qual era la scintilla misteriosa che scoccava tra di loro?

Un mistero della natura che si ribellava alla distruzione dell'uomo e che nell'uomo ritrovava la salvezza? Forse. E quanti guaritori come lui si aggiravano in quel momento sulla superficie tormentata del pianeta?

Erano dieci i bambini che aveva già raccolto e che lo seguivano in una piccola carovana nelle sue peregrinazioni. Bambini che avevano il dono e desideravano solo capire quella forza misteriosa che li tormentava e che non comprendevano.

“Sì, vieni con me,” gli disse. “Diventerai anche tu un guaritore.”


Copyright © 2007 by Antonio Bellomi

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